Come veniva coltivato il cotone?
La coltura del cotone in molte aree della Sicilia, in passato, era in forte sviluppo. Nel 1957 la si praticava su una superfice totale di quasi 35.000 ettari, di cui 14.500 nell’agrigentino ed il resto quasi completamente nella piana di Gela.
Proprio la cittadina nissena, durante la guerra di secessione americana, ospitò le prime piantagioni dell’isola; nel 1864 le distese di cotone superavano i 12.000 ettari, e non pochi produttori gelesi esportavano il prodotto sino a Malta.
Non per nulla Gela venne denominata “la madre del cotone in Italia”.
Dopo una prima crisi produttiva tra le due guerre mondiali, la breve epopea del cotone siciliano – complice la diffusione delle fibre sintetiche – si avviò verso il tramonto agli inizi degli anni Sessanta.
Fu in quel periodo che il ‘Cotonificio Siciliano’ chiuse i battenti, relegando questa lavorazione industriale negli archivi della storia manifatturiera dell’isola.
Oggi, l’unica testimonianza dell’epopea del cotone siciliano è affidata ai relitti di alcune attrezzature di lavoro, tristemente abbandonate.
Ma vediamo quali erano le procedure che portavano alla faticosa lavorazione del cotone.
Si cominciava il mese di febbraio, primi di marzo, con ripetute arature sul terreno destinato alla semina del cotone. I sacchi che contenevano i semi di cotone venivano messi a bagno nell’acqua per quattro ore e poi ricoperti con un telo, così se ne manteneva la temperatura nella fase di fermentazione.
I semi venivano messi a dimora in fossette profonde di 12 centimetri e tra di loro distanti circa 40 centimetri.
La raccolta veniva effettuata quando il cotone era bene maturo, cioè verso la fine del mese di agosto, inizio settembre.
File di uomini si recavano in campagna e procedevano per raccogliere il cotone alle tre del mattino (per poter lavorare meglio) tenendo legata la cintola al sacco e spogliando le piante dai candidi e morbidissimi fiocchi che sbucavano dalle capsule dischiuse.
I braccianti agricoli cercavano di riempire i sacchi il più possibile per poter guadagnare di più ma il massimo che potevano riempire era un quintale.
Il cotone che dopo il raccolto ha troppa umidità per essere immagazzinato, doveva essere steso al sole in sottili strati spesso rivoltati sopra superfici non terrose.
I proprietari consegnavano il raccolto all’ ammasso obbligatorio, dove oltre ad essere pesato, veniva anche esaminato e classificato secondo le quattro categorie qualitative, dall’ispettore provinciale dell’agricoltura.
Otto stabilimenti con un complesso di circa duecento macchine sgranatrici, eliminavano quindi i semi, ulteriore materia prima per l’estrazione di un ottimo olio.
Gela vantava ben tredici opifici e stabilimenti per la sgranatura del cotone che qui elenchiamo:
1) Società Cotoniere Siciliana
2) Mulino Tutti i Santi
3) Mulino Gela
4) Ente Fibre Tessili
5) Mulino Pinta
6) Opificio Liardi
7) Opificio Psaila
8) Opificio Favitta
9) Opificio Tanturella
10) Opificio Bresmes
11) Mulino Pellegrino
12) Opificio SILDA
13) Opificio Baiocchi