Due rivolte a Gela a distanza di 64 anni l’una dall’altra

7 novembre 2018
gela antica

Tra i tanti avvenimenti che hanno contraddistinto la storia recente di Gela ne abbiamo scelto due particolarmente drammatici; si tratta di due rivolte popolari contro l’Istituzione, distanti tra loro 64 anni. Si scrive di due avvenimenti, uno del 1919 e l’altro del 1983, che oggi nella più completa insipienza sono stati relegati nell’oblio. Come se non fossero mai accaduti. Quanto scritto sulla prima rivolta, si riferisce sia alla trascrizione di diversi brani tratti dal saggio “Dall’agricoltura all’industria. Il cotone nazionale tra le due guerre” del prof. Giuseppe Barone (ordinario di storia contemporanea presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Catania) sia all’articolo “I fatti di Terranova” del giornale “L’Aurora, Organo dell’azione cattolica diocesana” di Caltanissetta del 2 novembre 1919, n. 22, anno XXI. Mese di ottobre del 1919.

 

Il primo avvenimento, che risale al 1919, ha come riferimento tre soggetti: un’industria cotonifera (la SICIM, acronimo di Società per l’Incremento della Cotonicultura nell’Italia Meridionale) il ceto contadino di Terranova di Sicilia e la coltura del cotone nell’Isola.     Ma vediamo che cosa accadde a Terranova nella prima decade d’ottobre del 1919. C’era una questione aperta tra la SICIM e Casa Pignatelli da una parte e dall’altra il bracciantato agricolo locale relativamente al patto di mezzadria sia per la coltura del cotone sia per le terre in genere incolte, patto che era considerato ostile dai contadini i quali invece volevano che si applicasse la piccola affittanza, in quanto molti di essi si trovavano disoccupati, in particolare quelli tornati dal servizio militare dopo aver contribuito nel lontano Nord-Est alla causa dell’Unità d’Italia. Insomma volevano anch’essi “terreno sufficiente a campar la vita”.     Nei primi giorni di ottobre del 1919, preceduto da uno stato di agitazione di diverse settimane, il bracciantato agricolo terranovese proclamò uno sciopero con il blocco di tutte le strade di accesso alla campagna. La forza pubblica che “fu per i padroni” disperse gli scioperanti “a suon di legnate”, arrestandone molti oltre ai promotori. Il giorno dopo, grazie all’intervento del Consiglio dell’Unione Agricola e di Ulisse Carbone, allora segretario della Confederazione Italiana dei Lavoratori, tutti gli arrestati furono rimessi in libertà, salutati in Piazza Umberto I da un’enorme folla. Durante lo sciopero le campagne rimasero deserte, addirittura anche gli stessi operai dello stabilimento di sgranellatura del cotone della SICIM incrociarono le braccia.
Il pomeriggio di giovedì 9 ottobre un carretto carico di cotone stava transitando per le vie della città, quando fu attorniato dagli scioperanti che intimarono al conducente di ritornare a casa. Nonostante la decisione del proprietario del carro di ascoltare il desiderio dei dimostranti, la forza pubblica che presidiava la città con a capo di un maresciallo dei Carabinieri intervenne pesantemente usando violenza contro gli scioperanti i quali, di corsa, si avviarono verso il Municipio per denunciare tale violenza alla Commissione esecutiva dei contadini che in quel mentre aspettava di partecipare a una riunione con la Commissione governativa diretta dal comm. Agostino Lunardoni, ispettore generale del Ministero dell’Agricoltura, venuto qui appositamente. La forza pubblica di stanza davanti al Municipio, però, forse impaurita dalla concitazione della massa degli scioperanti, sparò sulla folla senza l’ordine del Commissario e nonostante che lo stesso si trovasse in mezzo ai contadini; gli scioperanti si dispersero subito nelle vie adiacenti via Giacomo Navarra Bresmes. Rimasero a terra due morti e sei feriti gravi. Subito dopo le Forze dell’Ordine, temendo la reazione della folla, si barricarono nel Municipio. Dopo aver dato aiuto ai feriti e trasferiti i due morti, migliaia di manifestanti ritornarono nelle loro case per armarsi e ritornare al Municipio per dare battaglia alle Forze dell’Ordine. Ma, un provvidenziale acquazzone li fece desistere da tale proposito e ciò permise ai Carabinieri di ecclissarsi alla chetichella risparmiandosi un funesto epilogo. La sera stessa la Commissione esecutiva dei contadini si recò in Sottoprefettura, ubicata nella vicina via Porta Marina, a protestare con il Sottoprefetto e a invocare provvedimenti atti ad assicurare la calma. L’indomani molti negozi rimasero chiusi esibendo la scritta di “Lutto cittadino”. Subito dopo, a favore delle famiglie delle vittime, fu iniziata una sottoscrizione cui contadini e operai contribuirono largamente. Anche da Catania arrivò una sottoscrizione di 2.000 per i familiari delle vittime.  Ma come finì a Terranova dopo i tumulti di ottobre? Finita l’ispezione nelle campagne di Terranova della Commissione governativa, l’ispettore ministeriale dalla terrazza del Municipio arringò la folla assicurandola che avrebbe fatto emanare una serie di provvedimenti atti a risolvere equamente la vertenza. Inoltre, per evitare un grave danno economico alla città, convinse i contadini a riprendere il lavoro nei campi anche perché vi era cotone per centinaia e centinaia migliaia di lire in gran parte di proprietà degli stessi contadini scioperanti, e che ritardandone ancora il raccolto, sarebbe andato irrimediabilmente perduto.     Dopo laboriosi contatti così si pervenne a un accordo tra la SICIM di Terranova e le società di contadini: Società Agricola, Cassa Rurale, Cassa Agraria, Unione Professionale e Cooperativa Unione. In relazione a tale accordo la SICIM, per la durata di 18 anni, cedeva alle suddette società la gabella di quasi tutti i terreni che teneva in affitto dal Duca di Terranova; i feudi interessati a tale gabella furono quelli di Mignechi, Catarrosone, Cocuzza, Olivastro, Tenutazza, Marebusca, Spataro e Calluso. Lo stesso tipo di cessione della SICIM avvenne con la Cooperativa agricola di Butera per il feudo “Burgio” del Barone Genuardi. Inoltre, alle stesse società di Terranova e alla Società Combattenti, la SICIM cedette anche l’amministrazione della Diga di Grotticelli sul Fiume Gela per uso irrigazione. In questo modo, la grave agitazione di Terranova terminò e circa 5.000 contadini ripresero il lavoro.

Fonte articolo:  Nuccio Mulè

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